IDENTIFICAZIONE DIRETTA - Studio Pavoni
14869
home,page-template,page-template-full_width,page-template-full_width-php,page,page-id-14869,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode-theme-ver-7.5,wpb-js-composer js-comp-ver-6.1,vc_responsive

Identificazione Diretta

Studio Pavoni Commercialisti

Abbiamo la competenza e l’esperienza per assistervi nella attribuzione della Partita IVA Italiana e per la consulenza per le vostre operazioni IVA in italia.

 

i nostri Clienti in Europa per i quali abbiamo seguito l’ottenimento della Partita IVA Italiana VAT-IT e per i quali eseguiamo gli obblighi di dichiarazione fiscale in Italia.

Identificazione diretta dei soggetti non residenti

Identificazione diretta IVA in Italia art. 35 ter DPR.633/72 per aziende Europee

I soggetti aziendali Europei possono scegliere, per le operazioni commerciali in Italia, la Identificazione diretta in Italia ai fini IVA in alternativa alla Stabile Organizzazione ed in alternativa al Rappresentante fiscali.

Sistema identificazione diretta ai fini IVA. Con questo sistema ciascun contribuente “stabilito” in un determinato Paese Europeo rileva le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in un altro Stato, esegue la detrazione dell’imposta come debitore (o creditore) dell’Iva per le operazioni ivi effettuate. Tale identificazione ai fini IVA è prevista dagli artt. 17 e 35-ter del D.P.R. n.633/1972, i quali prevedono l’istituto dell’ identificazione diretta”, attraverso il quale un soggetto non residente può identificarsi direttamente ed acquisire in Italia una partita Iva con la quale operare (la procedura è disciplinata dall’art. 35-ter del D.P.R. n.633/1972). Secondo la Direttiva europea n.2000/65/CE ciascun Paese comunitario deve consentire l’identificazione diretta degli operatori comunitari residenti in un altro Stato appartenente alla UE per assolvere agli obblighi Iva in caso di operazioni effettuate nel territorio di tale Stato. In caso di identificazione diretta l’Amministrazione finanziaria attribuisce al soggetto richiedente un numero di partita Iva con una seriazione che evidenzia la natura di soggetto non residente identificato in Italia (numero contraddistinto dalla seriazione 999, nelle penultime tre cifre). Detto questo, con riguardo al caso oggetto del quesito, il soggetto che ha emesso la fattura è un soggetto estero non residente (Lussemburgo) che ha provveduto all’identificazione diretta in Italia: ciò lo si desume dalla composizione della partita Iva indicata, che riporta la particolare seriazione attribuita dall’Amministrazione finanziaria in situazioni come quelle, appunto, di identificazione diretta.

Chi può optare per l' Identificazione diretta ai fini IVA ?

I soggetti residenti in un altro Stato membro della UE o in un Paese terzo con il quale esistano strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta (IVA) possono scegliere di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti che derivano dall’applicazione di tale tributo direttamente identificandosi ai sensi dell’art. 35-ter del D.P.R. 633/72.

Come ribadito dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione del 5 dicembre 2003 n. 220/E non risultano ancora conclusi i suddetti accordi tra l’Italia ed i Paesi terzi con la conseguenza che, al momento, nessun contribuente di un Paese extra UE può utilizzare il sistema di identificazione diretta.

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Come procedere per identificarsi in Italia ?

Per identificarsi il contribuente non residente deve compilare l’apposito modello anagrafico (modello ANR/3) disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it).

Le dichiarazioni devono essere presentate esclusivamente all’Agenzia delle Entrate – Centro operativo di Pescara, Area Controlli – Servizio identificazione non residenti, Via Rio Sparto n. 21, 65129 Pescara, direttamente (anche a mezzo di persona appositamente delegata) o a mezzo di servizio postale mediante raccomandata.

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Quali dati indicare nella domanda di identificazione IVA ?

Denominazione società. Senza alcuna abbreviazione, ad eccezione della sigla della natura giuridica (esempio LTD) che deve essere sempre indicata in forma contratta. Per denominazioni particolarmente lunghe devono essere eliminati titoli professionali e simili eventualmente presenti.

Natura Giuridica. Il codice desunto dalla seguente TABELLA NATURA GIURIDICA in funzione del tipo di società estera adottato nello stato di residenza:

  1. Società semplici, irregolari e di fatto
  2. Società in nome collettivo
  3. Società in accomandita semplice
  4. Società di armamento
  5. Associazioni fra professionisti
  6. Società in accomandita per azioni
  7. Società a responsabilità limitata
  8. Società per azioni
  9. Consorzi
  10. Altri enti ed istituti
  11. Associazioni riconosciute, non riconosciute e di fatto
  12. Fondazioni
  13. Opere pie e società di mutuo soccorso
  14. Altre organizzazioni di persone e di beni
  15. Trust
  16. GEIE ( Gruppi europei di interesse economico)

Numero di Identificazione Iva Stato Estero – VAT – (GB/DE/FR etc…). Il VAT identificato nello stato di residenza.

Codice Fiscale. Non necessario con l’identificazione diretta.

Indirizzo. L’indirizzo completo della sede legale della società UE. Via, n., Città, Contea, Stato.

Amministratore. Dati dell’Amministratore della società estera, lo stesso che risulta dal certificato di esistenza della società estera, rilasciato dalla Camera di Commercio, del paese dove a sede la società estera, dove risulta la nomina ed i poteri dell’amministratore che firma la dichiarazione di identificazione diretta. Cognome e nome, residenza anagrafica estera dell’amministratore, Via, n., Città, Contea, Stato..

Codice Fiscale amministratore. Il Codice fiscale italiano dell’amministratore, da compilare solo se già in possesso. Non necessario se non si possiede.

Codice Attività. Deve essere indicato il codice italiano dell’attività svolta in Italia desunto dalla classificazione delle attività ATECO 2007.

Descrizione Attività. Descrizione sintetica dell’attività effettivamente esercitata.

Ufficio Competente dello Stato Estero. Indicare nell’apposito campo l’ufficio dell’amministrazione dello Stato estero, Dipartimento Fiscale, competente ad effettuare i controlli e verifiche fiscali sull’attività del contribuente, come previsto dall’art. 35-ter, comma 2, lettera c).

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Quali documenti allegare alla domanda ?

I documenti che sono da allegare alla Raccomandata devono essere in originale ed in copia tradotta in Italiano. I seguenti documenti:

– copia di un documento d’identità dell’amministratore della società che si identifica (Passaporto);

– certificato del Dipartimento Fiscale del paese di origine attestante la qualità di soggetto IVA nel proprio paese;

– certificato di esistenza della società estera, rilasciato dalla Camera di Commercio, del paese dove a sede la società estera, dove risulta la nomina ed i poteri dell’amministratore che firma la dichiarazione di identificazione diretta.

La traduzione delle predette certificazioni deve essere sottoscritta dal traduttore, abilitato e certificato a tale fine, alle quali traduzioni va allegata copia del documento d’identità del soggetto che ha eseguito la traduzione.

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

A Partita IVA ottenuta come si opera in Italia ?

Ottenuta la Partita IVA le dichiarazioni ai fini IVA, per le operazioni effettuate con tale VAT Italiano, devono essere effettuate in Italia con le scadenze e legislazione IVA italiana.

Eventuali dichiarazioni di variazioni dati e le dichiarazioni per la cessazione dell’attività possono essere presentate in via telematica da un intermediario abilitato (nostro Studio).

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Identificazione diretta diversità da Ufficio di rappresentanza e Stabile organizzazione

L’Ufficio di Rappresentanza. Si considera Ufficio di Rappresentanza lo strumento attraverso il quale l’impresa straniera può sondare il mercato prima di pensare ad una presenza più strutturata ed impegnativa. L’Ufficio di Rappresentanza è lo strumento più leggero per cominciare a conoscere il mercato Italiano, consentendo bassi costi di gestione e senza acquisire soggettività fiscale, ed ha una disciplina sostanzialmente simile nei vari ordinamenti e la prassi interpretativa rinvia a modelli O.C.S.E.

Ufficio di Rappresentanza è una sede fissa che svolge funzioni esclusivamente promozionali e pubblicitarie, di informazione, di ricerca di mercato. L’Ufficio di Rappresentanza non ha carico fiscale IRES e non è soggetto passivo Irap, se costituisce semplicemente Ufficio di Rappresentanza e nel caso in cui non rappresenti una stabile organizzazione, l’Ufficio non produce alcun reddito, mentre i suoi costi sono di norma integralmente deducibili per l’impresa madreCosì come previsto dall’art. 162, co. 4, Tuir e dall’art. 5, par. 4 del modello di convenzione O.C.S.E , cfr Circ. n. 188/E del 16.07.98 e n. 263/E del 12.11.98), svolga attività aventi un carattere preparatorio o ausiliario rispetto all’attività d’impresa (ad es., la sola esposizione, acquisto e deposito di beni, raccolta di informazioni, pubblicità, ricerca o altre attività ausiliarie o preparatorie).

La nascita di un Ufficio di Rappresentanza deve essere denunciata ad opera dei legali rappresentanti della società straniera, anche mediante un procuratore speciale appositamente indicato, al Registro delle imprese per l’iscrizione al cosiddetto Repertorio delle notizie Economiche ed Amministrative (R.E.A.), previa la richiesta di un codice fiscale all’Agenzia delle Entrate competente in base al luogo dove si apre l’Ufficio di Rappresentanza.

L’Amministrazione finanziaria ha infatti chiarito che il semplice Ufficio di Rappresentanza nel caso in cui non rappresenti una stabile organizzazione In tali casi, in effetti, l’Ufficio svolge soltanto funzioni propedeutiche o ausiliarie che non costituiscono, di per sé, il fine dell’attività d’impresa e non può partecipare, tra l’altro, al processo di vendita a terzi (tutte le eventuali vendite dovranno essere compiute direttamente dall’impresa madre e saranno ad essa esclusivamente imputabili), dedicandosi alle pubbliche relazioni per la casa madre, reperimento clientela e attività di lobbying.

Differenze rispetto alla stabile organizzazione

Quando invece l’Ufficio di Rappresentanza, nonostante la sua formale denominazione, svolga nei fatti anche attività produttive o commerciali, esso potrà essere interpretativamente considerato quale stabile organizzazione della società straniera, con l’effetto di divenire soggetto di imposta in Italia. Giova infatti rammentare che il D.Lgs. 12.12.03, n. 344 ha introdotto nel nuovo testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), all’art. 162, una definizione generale di stabile organizzazione, da valersi in tutti i casi in cui l’Italia non abbia alcuna Convenzione contro le doppie imposizioni sul reddito con il Paese di destinazione; definizione che peraltro ricalca il concetto già elaborato dagli accordi internazionali che si rifanno al modello di Convenzione O.C.S.E. L’art. 162, co. 1, Tuir (così come già l’art. 5, par. 1 del modello O.C.S.E.) identifica la stabile organizzazione in una “sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.   In tal senso, può aversi stabile organizzazione anche quando l’insediamento svolga una soltanto delle diverse fasi del processo economico d’impresa, quale quella produttiva, commerciale, finanziaria, etc., in quanto siano qualitativamente e quantitativamente significative rispetto all’attività tipica dell’impresa.  

La disciplina dell’Ufficio di Rappresentanza

Nell’ordinamento italiano l’Ufficio di Rappresentanza non ha obblighi di iscrizione presso il registro delle imprese e di deposito dell’atto costitutivo e dei bilanci. La nascita di un Ufficio di Rappresentanza deve essere denunciata ad opera dei legali rappresentanti della società straniera, anche mediante un procuratore speciale appositamente indicato, al Registro delle imprese per l’iscrizione al cosiddetto Repertorio delle notizie Economiche ed Amministrative (R.E.A.), previa la richiesta di un codice fiscale all’Agenzia delle Entrate competente in base al luogo dove si apre l’Ufficio di Rappresentanza. Inoltre, nei diversi ordinamenti, l’impresa che apre nel paese straniero un Ufficio di Rappresentanza ha diritto di ottenere il rimborso dell’I.V.A. pagata per costituire l’Ufficio e per mantenerne l’operatività. Le forme giuridiche mediante le quali un’impresa italiana può insediarsi all’estero sono principalmente tre: l’ufficio di rappresentanza, la stabile organizzazione (o branch) o la società. In quest’ultimo caso si potrà optare per una società di capitali, una joint venture o una società di persone, con evidenti differenze in termini civilistici ed economici. Le fattispecie individuate sono differenti sia in termini di costi sia di implicazioni legali e regolamentari che comportano. L’ufficio di rappresentanza è la modalità che comporta minori costi di costituzione e dalla quale discendono i minori obblighi civilistici (bastando la registrazione dell’unità locale nella Camera di Commercio dello Stato estero di insediamento). Pertanto, l’impresa italiana potrebbe decidere di iniziare ad operare in tale modo, per poi aprire una branch e successivamente trasformarla in società, ma potrebbe anche avvenire che, per le ragioni più diverse, il soggetto italiano opti per l’apertura diretta di una nuova joint venture. È il caso ad esempio dell’insediamento in Paesi nei quali per legge interna è necessario un socio locale. È evidente che le diverse tipologie di insediamento, oltre a comportare implicazioni legali e regolamentari differenti in termini di obblighi civilistici e contabili, hanno anche implicazioni fiscali differenti.

L’ufficio di rappresentanza

Certificato dell’ente estero preposto alla tenuta del Registro Imprese straniero o ente equivalente (o dichiarazione di esistenza della società fatta dall’Ambasciata in caso di società extracomunitaria, in assenza del certificato) dal quale si possano desumere gli elementi principali dell’impresa; delibera/atto di nomina del Rappresentante legale in Italia, a meno che non sia lo stesso legale rappresentante all’estero ad essere incaricato della rappresentanza in Italia.

CITTADINI EXTRACOMUNITARI Un primo aspetto da considerare è la verifica della “condizione di reciprocità”: trattasi del riscontro che al cittadino italiano sia riservato (nel nostro caso, in tema di lavoro autonomo d’impresa e/o di partecipazione societaria) nel Paese di origine o di provenienza (di nazionalità e/o cittadinanza) del cittadino straniero interessato, il medesimo trattamento a cui il cittadino extracomunitario richiede di essere ammesso in Italia. Il responsabile del procedimento amministrativo, che ammette il cittadino extracomunitario al godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, verifica la condizione di reciprocità. L’ufficio verifica, ogni qualvolta non intervenga nel procedimento un notaio, la condizione di reciprocità: a) quando un’impresa extracomunitaria con sede all’estero presenti istanza di iscrizione di sede secondaria o denunci l’apertura di unità locale; b) quando si chieda l’iscrizione nel registro delle imprese di un cittadino extracomunitario, residente all’estero e che non sia intestatario di permesso o di carta di soggiorno; c) in tutti i casi in cui un cittadino extracomunitario, residente all’estero e che non sia intestatario di permesso o di carta di soggiorno, chieda la propria iscrizione in qualità di amministratore di società o di institore (anche in impresa individuale); d) quando il cittadino extracomunitario, residente all’estero e non in possesso di permesso di soggiorno, assuma partecipazioni (o quote) in società italiane e/o la qualifica di socio-unico (in s.r.l. o in S.p.a.).

L’ufficio di rappresentanza è un soggetto senza autonomia giuridica e fiscale rispetto alla casa madre. Pertanto, nello Stato estero non insorgono obblighi fiscali per l’impresa italiana. Essa verrà quindi tassata nel Paese estero come soggetto non residente, solo per i ricavi ivi prodotti. Alcuni Paesi, come accade in Italia, prevedono la tassazione degli utili di impresa di un soggetto non residente solo in presenza di stabile organizzazione, e pertanto l’impresa italiana che opera in uno Stato estero mediante ufficio di rappresentanza potrebbe non essere soggetta a tassazione in tale Stato. Tuttavia, massima attenzione deve essere posta alle attività svolte dall’ufficio di rappresentanza. Il rischio è la riqualificazione di un ufficio di rappresentanza in stabile organizzazione all’estero dell’impresa italiana, con la conseguente tassazione nel Paese estero dei redditi ivi prodotti. Infatti, ai sensi della definizione di stabile organizzazione contenuta nel modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, costituisce stabile organizzazione (tra l’altro) la presenza di una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, salvo che le attività svolte non siano di carattere preparatorio o ausiliario all’attività della casa madre.  L’ufficio di rappresentanza potrà essere utilmente aperto in caso di laboratori, magazzini, depositi, uffici, negozi, in cui vengono svolte ad esempio attività promozionali, presentazione di merci (come gli show room dove non viene svolta attività di vendita), la consegna delle merci, le ricerche di mercato.

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Stabile organizzazione in Italia di società estera. ?

La stabile organizzazione

L’apertura di una stabile organizzazione all’estero non sempre è una decisione dell’impresa italiana, ma dipende dal tipo di attività esercitata. Le autorità fiscali sono spesso molto attente a verificare se un insediamento estero configuri o no “stabile organizzazione” in quanto, come vedremo in seguito, la stabile organizzazione è soggetta ad imposta nello Stato estero per i redditi ivi prodotti. Senza entrare nel dettaglio di quali sono le attività che comportano l’insorgere di una stabile organizzazione all’estero, basti qui notare che si può creare nello Stato estero una stabile organizzazione materiale (in virtù della presenza fisica di una sede fissa di affari della impresa italiana) o anche personale (in presenza di agenti non indipendenti che hanno il potere di concludere contratti in nome e per conto della società italiana). Una attenta disamina della situazione fattuale e delle attività effettivamente svolte all’estero è fondamentale per evitare di incorrere in sanzioni, anche pesanti, per omessa tassazione dei redditi prodotti all’estero. Al di là dei casi in cui l’apertura di una stabile organizzazione all’estero non sia la mera conseguenza delle attività svolte dall’Italia mediante una sede estera o un agente dipendente), è possibile che un’impresa italiana decida volontariamente di aprire all’estero una stabile organizzazione e non costituire una società controllata. Da un punto di vista civilistico, con il termine stabile organizzazione si intende un soggetto che non ha autonomia giuridica rispetto alla casa madre italiana, essendo più che altro la longa manu attraverso cui questa esercita la sua attività all’estero. Non avrà dunque necessità di un capitale sociale (anche se tipicamente la stabile organizzazione viene fornita di un fondo di dotazione adeguato allo scopo, soprattutto per problematiche fiscali), di organi gestori propri o di obblighi di redazione di bilancio. Per le passività della stabile organizzazione dunque risponde la casa madre italiana con il proprio patrimonio. Al contrario, dal punto di vista fiscale, la stabile organizzazione è un soggetto rilevante, tanto da avere una propria numero identificativo estero (come la partita IVA o il codice fiscale). La stabile organizzazione è un autonomo centro di imputazione di ricavi e costi, e viene tassata nello Stato estero per i redditi ivi prodotti. La stabile organizzazione è considerata come un soggetto fiscalmente residente nello Stato estero ai fini fiscali, e come tale è soggetto alle ordinarie regole sulle imposte sul reddito previste per i soggetti esercenti attività di impresa (in Italia, le stabili organizzazioni di soggetti non residenti sono soggetti IRES tassate come le società di capitali italiane).

In sostanza, le operazioni svolte dalla stabile organizzazione, pur essendo registrate in una contabilità separata rispetto a quella della casa madre, confluiscono nelle registrazioni contabili dell’impresa italiana. La contabilità della stabile organizzazione è tenuta ai soli fini fiscali, al fine di calcolare il reddito ad essa afferente. Tale reddito viene tassato nello Stato estero, e viene anche incluso nel reddito complessivo della casa madre. Le imposte pagate all’estero vengono scomputate dal reddito della casa madre mediante il meccanismo del reddito di imposta.

Conseguentemente, le perdite realizzate dalla stabile organizzazione nello Stato estero sono portate in diretta deduzione del reddito imponibile italiano, e pertanto immediatamente recuperate. Tale peculiarità comporta inoltre un evidente vantaggio durante i primi periodi dell’insediamento all’estero, quando la possibilità di incorrere in perdite è elevata. Mentre in caso di società controllate estere che realizzano perdite consistenti potrebbe divenire necessario procedere con una ricapitalizzazione, in caso di branch estere non sarà necessario ripristinare il fondo di dotazione iniziale, semprechè lo stesso si mantenga congruo rispetto all’attività esercitata. Inoltre, in caso di perdite civilistiche una società potrebbe non essere in grado di ripagare dividendi alla casa madre, anche se in possesso di “cassa” libera (c.d. fenomeno del trapped cash, tipico in caso di ammortamenti molto elevati in conto economico). Inoltre, le distribuzioni del fondo di dotazione dalla branch alla casa madre non sono soggetti a ritenuta nello Stato estero. Le linee Guida OCSE sull’attribuzione di profitti alla stabile organizzazione consentono, a certe condizioni, l’allocazione di finanziamenti tra la casa madre e la stabile organizzazione. Tali interessi passivi, unitamente agli interessi passivi su finanziamenti contratti direttamente dalla stabile organizzazione possono essere dedotti secondo le regole ordinarie dello Stato estero.

La società controllata

La costituzione di una società all’estero rappresenta la modalità più completa di insediamento all’estero. La società estera ha una propria personalità giuridica separata dalla casa madre, deve avere un proprio capitale sociale rispondente ai limiti minimi previsti dalla legislazione locale con il quale la controllata estera risponde per le proprie obbligazioni. Una società estera, anche se controllata dalla casa madre italiana, deve avere organi decisionali e gestionali propri. Quest’ultimo aspetto risulta di particolare importanza anche alla luce delle numerose normative antielusive presenti nel nostro ordinamento, volte ad escludere la possibilità di una fittizia localizzazione all’estero di una società ai soli fini di beneficiare di regimi fiscali di favore rispetto a quello italiano, soprattutto in caso di società controllata costituita in paradisi fiscali. Si tratta ad esempio delle norme in tema di esterovestizione, mediante le quali l’amministrazione finanziaria italiana può disconoscere la localizzazione all’estero dell’attività (e la conseguente tassazione nello Stato estero), quando la gestione della società estera venga svolta in Italia. Bisognerà dunque prestare attenzione alla “sostanza” della società estera, per evitare che l’autorità fiscale italiana consideri fittizio l’insediamento all’estero. A tale fine, saranno utili sia elementi propri della società estera, come la disponibilità di uffici funzionali allo svolgimento dell’attività, la presenza di dipendenti, di contratti di fornitura anche di servizi basilari come l’energia e il telefono, di conti correnti esteri intestati alla società, etc. Inoltre, le principali decisioni del consiglio di amministrazione dovrebbero essere prese all’estero, nel corso di riunioni tenute a cadenza regolare.

Inoltre, le società estere controllate o collegate residenti o localizzate in paradisi fiscali sono soggette alla disciplina delle c.d. controlled foreign companies(o CFC), che prevede la tassazione per trasparenza in capo alla società italiana dei redditi realizzata dalle società controllate o collegate estere che non dimostrino l’effettivo svolgimento all’estero di un’attività economico o alternativamente che dalla partecipazione non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati c.d. black list. La disciplina CFC si applica anche in caso di partecipazioni localizzate in Paesi white list, quando i redditi da queste prodotti siano per la maggior parte redditi c.d. passive,ovvero derivanti dallo sfruttamento di attività materiali, immateriali o finanziarie.

La società estera è tassata nel Paese estero secondo le regole ordinarie. I dividendi distribuiti dalla società estera possono essere soggetti a ritenuta nel Paese estero, e confluiscono nel reddito imponibile della società italiana (per il 5% del loro ammontare se si tratta di società estere in Paesi White List). Le ritenute subite all’estero possono essere scomputate dalle imposte dovute in Italia secondo il meccanismo del credito di imposta. La scelta della forma giuridica con cui effettuare l’investimento all’estero deve essere attentamente ponderata, per evitare di incorrere in problematiche fiscali che ex post è più difficile gestire.

Chiedici un preventivo personalizzato, contattaci.

Intrastat INTRA Identificazione diretta e Reverse charge

INTRA e Reverse charge, per chi si è identificato in modo diretto, per operazioni rese da non residenti (art. 17, co. 2)

Nella Triangolazione ITA1 – ITA2 – DE dove ITA 1 consegna direttamente a DE

ITA1 fattura a ITA2 art.58 e ITA2 a DE art.41

Plafond ITA1 su prezzo cessione a ITA2 e plafond temporaneo 6 mesi di ITA2 sul margine

ITA1 non fa INTRA 1 vendite

ITA2 fa INTRA1 vendite

Dal 1/1/2010 il reverse charge diviene la regola generale per tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi fornite in Italia da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi residenti, a meno che le stesse non siano rese o ricevute per il tramite di stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti;

Il soggetto passivo residente, acquirente, dovrà “autofatturarsi” (art.17 c.2) beni provenienti dal fornitore UE, anche qualora questi, fornitore UE, abbia nominato un rappresentante fiscale ed anche nel caso in cui il soggetto passivo si sia identificato direttamente (salvo che non operi tramite stabile organizzazione).

In particolare, in base alle disposizioni contenute nel novellato articolo 17, commi 2 e 3 D.P.R. n. 633/72, viene espressamente previsto che “gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, …, sono adempiuti dai cessionari o committenti”.

Per le operazioni effettuate dal 2013, quando le cessioni sono realizzate da soggetti passivi stabiliti in uno Stato Ue (anche se dotati di partita Iva italiana), occorre seguire le regole dettate dagli articoli 46 e 47 del decreto legge 331/93, integrando con l’Iva, se dovuta, la fattura del cedente comunitario, in base al citato articolo 17, comma 2 Dpr 633/72 , applicando dunque il regime del reverse charge altrimenti detto “inversione contabile”.

E’ da sottolineare quindi che non si tratta di una cessione intracomunitaria bensì di una cessione interna a mezzo di rappresentante fiscale per le quali non vige l’alternatività tra integrazione o autofatturazione bensì è obbligatoria la sola integrazione con l’IVA dovuta e pertanto non rileva ai fini della compilazione dei modelli Intrastat. (questo perché non si muove la merce).

La corretta registrazione prevede dunque obbligatoriamente l’integrazione della fattura con l’IVA non indicata da applicarsi sul totale parziale in fattura.

Inoltre dovrà essere registrata sia nel registro IVA acquisti che nel registro IVA vendite ponendo attenzione al momento di ricezione della fattura.

In particolare si evidenzia che tali fatture andranno registrate entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, ma sempre con riferimento al mese precedente nei relativi registri. Ad esempio, se la fattura è ricevuta entro ottobre, la stessa può essere integrata con IVA e registrata tra le vendite entro il 15 novembre, ma dovrà comunque rientrare nella liquidazione del mese di ottobre.

Sostanzialmente, poiché i beni si trovano già in territorio nazionale, non siamo di fronte ad un’importazione degli stessi, ma ad un’operazione di cessione da parte di un soggetto straniero attraverso il proprio rappresentante fiscale.

Solo nel caso in cui l’operatore non residente, anziché essersi identificato o aver nominato un proprio rappresentante fiscale, abbia in Italia una stabile organizzazione, allora per la stessa identica cessione la fattura dovrebbe essere emessa con I.V.A.

Di conseguenza, per essere più espliciti, il rappresentante fiscale o colui che si è identificato direttamente, in fase di vendita, non può addebitare l’I.V.A. nei confronti del soggetto italiano interessato (acquirente soggetto IVA), ma dovrà emettere fattura senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, che sarà poi soggetta ad auto fatturazione da parte del cliente finale.

Sempre da un punto di vista pratico, in questa situazione, il soggetto residente acquirente sarà tenuto all’emissione di autofattura ai sensi del novellato articolo 17, comma 2 D.P.R. n. 633/72.

Salvo che il Cliente sia un privato.

A livello INTRASTAT, invece, il soggetto acquirente italiano non sarà tenuto a nessun adempimento, in quanto la comunicazione periodica sarà assolta dal rappresentante fiscale in Italia, così come illustrato nella circolare n. 36/E/2010 al quesito n. 31.

Quesito 31.

Una società estera avente sede legale in uno Stato comunitario (che è lo Stato da cui arriva anche la merce acquistata) dispone di un rappresentante fiscale in Italia oppure si è identificata direttamente.

La società in questione cede un bene, per il tramite del proprio rappresentante fiscale, ad un cliente italiano, soggetto passivo d’imposta.

Quali sono gli adempimenti ai fini IVA e Intrastat ?

Il rappresentante fiscale dovrà compilare gli elenchi Intrastat degli acquisti intracomunitari (art. 38, comma 3, lett. B del D.L. n. 331 del 1993) e il cliente nazionale emetterà autofattura per documentare l’acquisto.

Il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 41 del 19 febbraio 2010 e recante l’attuazione delle direttive 2008/8/CE, 2008/9/CE e 2008/117/CE, ha introdotto – tra le altre – rilevanti novità nella disciplina del debitore d’imposta, di cui all’articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972, nel caso di cessioni di beni e di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto non residente nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia.

La versione del predetto articolo 17 in vigore fino al 31 dicembre 2009 comportava che gli obblighi e i diritti derivanti dall’applicazione della disciplina IVA relativa ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di un soggetto non residente e senza stabile organizzazione in Italia potevano essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dal medesimo direttamente, se identificato ai sensi dell’articolo 35-ter dello stesso DPR n. 633, ovvero tramite un rappresentante residente nel territorio dello Stato.

Qualora il soggetto non residente non avesse esercitato la facoltà di identificarsi direttamente ai sensi dell’articolo 35-ter oppure di nominare un rappresentante fiscale, gli obblighi relativi alle operazioni da egli effettuate nel territorio dello Stato nei confronti di soggetti passivi quivi stabiliti sarebbero stati adempiuti da questi ultimi, mediante il meccanismo dell’inversione contabile.

Il secondo comma dell’articolo 17 del DPR n. 633 del 1972 è stato modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera h), del predetto D.Lgs. n. 18 e, nella nuova versione, stabilisce che “gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’articolo 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti”.

Tale radicale cambiamento comporta – per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto non residente nei confronti di un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato – che quest’ultimo assuma sempre la qualifica di debitore dell’imposta, da assolvere mediante applicazione del meccanismo del reverse charge.

Ciò anche nell’eventualità in cui il soggetto non residente sia identificato nel territorio dello Stato o ivi disponga di un rappresentante fiscale.

Come si ricava dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 18 del 2010, la modifica sopra esaminata si applica alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2010.

Per quanto riguarda le prestazioni di servizi, si rammenta che con circolare del 31 dicembre 2009, n. 58 è stato anticipato che, a partire dal 1° gennaio 2010, il contribuente italiano, ai sensi dell’articolo 196 della direttiva 2006/112/CE, è tenuto ad osservare gli obblighi di fatturazione e assolvimento dell’imposta se il servizio, territorialmente rilevante in Italia, è reso da un soggetto non residente.

È stato quindi precisato che “in caso di prestazione di servizi rilevante ai fini IVA in Italia, effettuata da un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato nei confronti di un soggetto passivo ivi stabilito, tutti gli adempimenti relativi all’applicazione dell’imposta gravano sul committente soggetto passivo”.

Tale chiarimento, in quanto motivato dalla diretta applicazione dell’articolo 196 della direttiva, è riferibile alle prestazioni di servizi generiche cui si applica il criterio della tassazione nel luogo del committente previsto dall’articolo 44 della medesima direttiva (in altre parole, alle prestazioni di servizi rese da un soggetto passivo non stabilito nello stato membro del committente, territorialmente rilevanti in Italia in base al criterio generale che fa riferimento al luogo di stabilimento del destinatario della prestazione).

Peraltro il legislatore nazionale, esercitando una facoltà prevista dall’articolo 194 della direttiva 2006/112/CE, ha modificato, come sopra anticipato, l’articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 nel senso di rendere obbligatorio il meccanismo dell’inversione contabile in tutte le ipotesi in cui il cedente o prestatore sia un soggetto non residente (e cioè nelle ipotesi di cessioni di beni rilevanti in Italia effettuate da un soggetto passivo non residente nei confronti di un soggetto passivo stabilito, nonché nelle ipotesi di prestazioni di servizi rese da un soggetto passivo non residente, nei confronti di un soggetto passivo stabilito, che risultano territorialmente rilevanti in Italia in base ad uno dei criteri che derogano rispetto al principio generale che dà rilievo al paese di stabilimento del committente).

Esempio UNO:

Una società (AA) austriaca (UE) vende della merce ad altra società (AB) austriaca, che ha nominato un rappresentante fiscale (AB-IT).

La merce viene spedita (da AA) direttamente al cliente italiano dalla società austriaca (AB) che vende.

La fattura viene intestata alla partita iva (AB-IT) del rappresentante fiscale.

Come si comporta il rappresentante fiscale?

Deve emettere fattura di vendita (con o senza iva?), oppure la fattura deve essere emessa dalla società austriaca direttamente al cliente italiano il quale è tenuto ad emettere autofattura ex art. 17 DPR 633/72 ?

Il rappresentante fiscale è tenuto a compilare l’INTRA acquisti ?

Consegna diretta (AA à Cliente Italia)

Ipotizzando che il fornitore estero si sia identificato ai fini IVA in Italia si osserva che nell’ipotesi di consegna diretta la posizione IVA italiana non può essere utilizzata ai fini della cessione, con la conseguenza che la società non residente, pur essendo identificata in Italia, non è tenuta ad alcun obbligo in Italia.

Quindi il fornitore estero identificato ai fini IVA in Italia, indifferentemente attraverso una delle due possibilità previste dalla normativa (identificazione diretta o rappresentante fiscale), – nella prima ipotesi contemplata (consegna diretta) – la posizione IVA italiana non può essere utilizzata ai fini della cessione, con la conseguenza che la società non residente, pur essendo identificata in Italia, non è tenuta ad alcun obbligo.

Nello specifico, nell’operazione in esame, la società estera non deve, attraverso la propria posizione IVA:

  • né emettere fattura con addebito dell’IVA;
  • né presentare i modelli INTRASTAT.

Resta inteso che nel caso di consegna diretta, per i beni ceduti trasportati/spediti in Italia a partire da un altro Paese membro:

  • ilfornitore comunitario (AB) effettua una cessione intracomunitaria, non imponibile IVA, per la quale deve presentare, nel proprio Paese, il modello INTRA 1-bis;
  • ilcliente italiano, corrispondentemente, effettua un acquisto intracomunitario, imponibile IVA, soggetto alla procedura di integrazione e di registrazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, per il quale deve presentare il modello INTRA 2-bis.

Consegna INdiretta (AA à AB àCliente Italia)

Invece nell’ipotesi di consegna indiretta, tornano utili le indicazioni fornite dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36 del 21 giugno 2010 (Parte II, § 31), in base alle quali:

– la posizione IVA italiana (AB-IT) effettua un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n.331/1993, relativo a beni trasferiti senza vendita ed a se stessi da un altro Paese membro verso l’Italia, rispetto al quale deve essere presentato il modello INTRA 2-bis;

– il cliente italiano, a seguito del proprio acquisto, applica il sistema del reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cioè nel caso in esame la procedura di integrazione e di registrazione prevista per gli acquisti intracomunitari.

In conclusione, anche in quest’ultima ipotesi, in cui la cessione viene posta in essere previa acquisizione intracomunitaria da parte della posizione IVA italiana, la generalizzazione dell’obbligo di reverse charge esclude l’addebito dell’imposta al cliente.

Cliente italiano effettua un acquisto interno e non intracomunitario non dovrà presentare il modello INTRA 2-bis, così come il fornitore estero, per il tramite della posizione IVA italiana, (AB-IT) non dovrà presentare il modello INTRA 1-bis.

La cessione viene posta in essere, previa acquisizione intracomunitaria, da parte della posizione IVA italiana,

Esempio DUE:

Una società (DB) tedesca (UE) vende della merce ad altra società (PA) polacca, che si è identificata direttamente in Italia (PA-IT).

La merce viene spedita (da DB) direttamente al cliente italiano (IT) dalla società polacca (PA) che vende.

Come si comporta PA-IT ?

Deve emettere fattura di vendita (con o senza iva ?), oppure la fattura deve essere emessa dalla società polacca (PA) direttamente al cliente italiano (IT) il quale è tenuto ad emettere autofattura ex art. 17 DPR 633/72 ?

La società identificata in Italia è tenuta a compilare l’INTRA acquisti ?

Consegna diretta (DB à IT Cliente Italia)

Ipotizzando che il fornitore estero (PA) si sia identificato ai fini IVA in Italia nell’ipotesi di consegna diretta la posizione IVA italiana (PA-IT) non può essere utilizzata ai fini della cessione, con la conseguenza che la società non residente (PA), pur essendo identificata in Italia, non è tenuta ad alcun obbligo in Italia, non deve fatturare con PA-IT.

Consegna INdiretta (DB à PA à IT Cliente Italia)

Nell’ipotesi di consegna indiretta, quindi la merce arriva nel magazzino di PA, (vostro magazzino) sono utili le indicazioni fornite dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36 del 21 giugno 2010 (Parte II, § 31), in base alle quali:

– la posizione IVA italiana (PA-IT) effettua un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n.331/1993, relativo a beni trasferiti a se stessi da un altro Paese membro verso l’Italia, rispetto al quale deve essere presentato il modello INTRA 2-bis (acquisti);

– il cliente italiano, (IT) a seguito del proprio acquisto, applica il sistema del reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cioè nel caso in esame la procedura di integrazione e di registrazione prevista per gli acquisti intracomunitari, ma non presenta INTRA-acquisti.

Cliente italiano effettua un acquisto interno e non intracomunitario non dovrà presentare il modello INTRA 2-bis (acquisti),.

Il fornitore estero, per il tramite della posizione IVA italiana, (AB-IT) non dovrà presentare il modello INTRA 1-bis (vendite).

Il fornitore estero, (PA) dovrà presentare il modello INTRA 1-bis (vendite).

In conclusione nel caso in cui la cessione viene posta in essere previa acquisizione intracomunitaria da parte della posizione IVA italiana, la generalizzazione dell’obbligo di reverse charge esclude l’addebito dell’imposta al cliente.

Identificazione diretta operazioni con i Clienti consegna: diretta – indiretta

Identificazione diretta operazioni con i Clienti consegna: diretta – indiretta

Nei rapporti intracomunitari, la possibilità di semplificare gli adempimenti amministrativi al fine di evitare, in particolare, la presentazione dei modelli INTRASTAT dipende da come viene impostata l’operazione.

Ipotizziamo il caso di una società stabilita in un altro Paese membro dell’Unione europea, che vende beni in Italia ai propri clienti, titolari di partita IVA.

Gli obblighi IVA variano a seconda della modalità di consegna dei beni ai clienti italiani, che può essere:

  • diretta, se i beni vengono consegnati direttamente dalla società non residente ai clienti;
  • indiretta, se i beni vengono consegnati ai clienti per il tramite della posizione IVA italianadella società non residente (identificazione diretta, ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972, oppure rappresentante fiscale), cioè previa acquisizione intracomunitaria.

 

Consegna diretta

Ipotizzando che il fornitore estero si sia identificato ai fini IVA in Italia, indifferentemente attraverso una delle due possibilità previste dalla normativa (identificazione diretta o rappresentante fiscale), si osserva che nella consegna diretta: la posizione IVA italiana non può essere utilizzata ai fini della cessione, con la conseguenza che la società non residente, pur essendo identificata in Italia, non è tenuta ad alcun obbligo.

Nello specifico, nell’operazione in esame, la società estera non deve, attraverso la propria posizione IVA:

  • né emettere fattura con addebito dell’IVA;
  • né presentare i modelli INTRASTAT.

È il caso, infatti, di ricordare che il DLgs. n. 18/2010 ha ampliato l’ambito applicativo del reverse charge.

In particolare:

fino a tutto il 2009, per le operazioni in esame, il sistema dell’inversione contabile era facoltativo, in quanto – in via prioritaria, seppure non obbligatoria – il soggetto non residente identificato in Italia doveva utilizzare tale posizione IVA per fatturare, con addebito dell’imposta, le cessioni/prestazioni territorialmente rilevanti;

dal 2010, a seguito della generalizzazione delle ipotesi di reverse charge obbligatorio, il cliente italiano, se soggetto passivo, assume sempre la qualifica di debitore d’imposta, per cui al fornitore non residente è precluso l’addebito del tributo per il tramite della propria posizione IVA.

In definitiva, nell’ipotesi di consegna diretta, la partita IVA italiana della società non residente

– non può addebitare l’imposta ai clienti

– non deve neppure presentare gli elenchi riepilogativi degli scambi intracomunitari.

Resta inteso che, per i beni ceduti trasportati/spediti in Italia a partire da un altro Paese membro:

  • il fornitore comunitarioeffettua una cessione intracomunitaria, non imponibile IVA, per la quale deve presentare, nel proprio Paese, il modello INTRA 1-bis;
  • il cliente italiano, corrispondentemente, effettua un acquisto intracomunitario, imponibile IVA, soggetto alla procedura di integrazione e di registrazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, per il quale deve presentare il modello INTRA 2-bis.

 

Consegna indiretta

Nella consegna indiretta tornano utili le indicazioni fornite dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36 del 21 giugno 2010 (Parte II, § 31), in base alle quali:

  • la posizione IVA italianaeffettua un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n.331/1993, relativo a beni trasferiti “senza vendita” ed a “se stessi” da un altro Paese membro verso l’Italia, rispetto al quale deve essere presentato il modello INTRA 2-bis;
  • il cliente italiano, a seguito del proprio acquisto, applica il sistema del reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cioè – nel caso in esame – la procedura di integrazione e di registrazione prevista per gli acquisti intracomunitari.

In conclusione, anche in quest’ultima ipotesi, consegna indiretta, in cui la cessione viene posta in essere previa acquisizione intracomunitaria da parte della posizione IVA italiana, la generalizzazione dell’obbligo di reverse charge esclude l’addebito dell’imposta al cliente.

Il Cliente effettua un acquisto interno e non intracomunitario non dovrà presentare il modello INTRA 2-bis, così come il fornitore estero, per il tramite della posizione IVA italiana, non dovrà presentare il modello INTRA 1-bis.

Perchè scegliere noi?

… perché il nostro fine è quello di seguirti in ogni tuo passo, consigliandoti con professionalità, rendendoti partecipe nella gestione fiscale e suggerendoti metodi per migliorare la tua redditività.

  • Marketing Management
  • Creazione Ecommerce/Website
  • Campagne Pubblicitarie WEB
  • Consulenza Informatica
  • Web Design
  • ICT
  • Management esterno
  • Pianificazione Fiscale
  • Consulenza Societaria
  • Selezione del Personale
  • Consulenza nel Controllo  di Gestione
  • Contabilità e Redazione Bilancio
  • Realizzazione Dichiarazioni Fiscali
  • Gestione Pratiche inizio, variazione e cessazione Attività
  • Consulenza del Lavoro
  • Data Entry
Grazie per l’interesse mostrato verso il nostro Studio.
Per ogni richiesta di informazione è possibile compilare il modulo presente in questa pagina o contattarci ai seguenti recapiti.

Tel: + 39 030 24 20 775

eMail: info@studiopavoni.it

Indirizzo:
Via Aldo Moro, 48
25124 Brescia

Seleziona il menu che desideri:
Contatti

    Il tuo nome (richiesto)

    La tua email (richiesto)

    Oggetto

    Il tuo messaggio

    Preventivo Personalizzato

      Il tuo nome (richiesto)

      Il nome della tua azienda

      La tua email (richiesto)

      Numero di telefono (richiesto)

      Società già operativa?

      Tipo di società

      ES: Libero professionista, SRL, SAS, SNC..

      Regime Contabile

      ES: Contabilità Semplificata o Contabilità Ordinaria.

      Il numero dei tuoi documenti annui:

      Sommando fatture ricevute e fatture emesse

      Ulteriori informazioni: